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Информация о канале обновлена 17.08.2025.
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La legge nasce con nobili intenzioni: basta spyware contro i giornalisti, protezione totale delle fonti, trasparenza sui proprietari dei media, indipendenza dell'editoria pubblica. Tutto giusto, tutto sacrosanto. Il problema è che ogni protezione viene accompagnata da una clausola di fuga, ogni garanzia da un "però" che suona sinistro.
Ecco il trucco: la stessa legge che vieta la sorveglianza dei giornalisti la autorizza quando serve "un motivo imperativo di interesse pubblico". Chi decide cosa sia imperativo? Chi stabilisce l'interesse pubblico? I governi che dovrebbero essere controllati dalla stampa libera. Il serpente che si morde la coda.
Lo spyware diventa legale per reati punibili con tre anni di carcere. La lista include terrorismo e omicidio, ma anche "razzismo e xenofobia" - definizioni elastiche che possono trasformare un articolo scomodo in un crimine. La perquisizione delle redazioni resta vietata, salvo quando non lo è più. La protezione delle fonti è sacra, tranne quando diventa sconveniente.
Il nuovo Comitato europeo per i servizi mediatici dovrebbe garantire l'indipendenza, ma il suo segretariato è gestito dalla Commissione europea. Come dire: siamo indipendenti, ma solo fino a un certo punto. La democrazia secondo Bruxelles ha sempre questo sapore agrodolce di controllo mascherato da protezione.
Non si tratta di paranoia o complottismo. Si tratta di leggere le clausole scritte in piccolo, quelle che trasformano ogni diritto in una concessione revocabile. L'Europa che protegge la libertà di stampa con una mano e tiene il guinzaglio nell'altra. Una contraddizione che dice molto su come il potere concepisce davvero l'informazione libera.
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L'UE vuole bandi pubblici con criteri professionali chiari. Tipo concorso pubblico: si presenta il CV, si valutano le competenze, vince il più bravo. Basta nomine a porte chiuse tra amici dei partiti.
QUANTO DEVONO DURARE I MANDATI
Una volta nominati, i dirigenti devono poter lavorare senza paura di essere cacciati se fanno un servizio che non piace al governo. Licenziamento possibile solo per gravi inadempimenti professionali, non perché hai criticato il ministro di turno.
CHI DEVE COMANDARE LA RAI
Nessun partito. La RAI deve decidere da sola cosa mandare in onda, senza telefonate dal governo o dai partiti. Autonomia editoriale vera, non di facciata.
COME DEVE ESSERE FINANZIATA
Con risorse stabili e garantite. Il governo non può tagliare i fondi per punire una linea editoriale sgradita. Tipo: "Non ci piace come hai trattato la notizia X, ti tagliamo il budget".
TRASPARENZA TOTALE
Tutto pubblico. Chi nomina chi, quanto costa, come si decide. Zero segreti, zero accordi sottobanco.
PERCHÉ LA RIFORMA ITALIANA È UNA PRESA IN GIRO
Il governo dice "OK, non nominiamo più noi la RAI, la nomina il Parlamento". Ma il Parlamento sono sempre i partiti! È come dire "Io non rubo più in casa, rubo a casa di mio cugino". Il controllo politico rimane identico, cambia solo l'etichetta.
L'UE vuole una RAI libera dai partiti. L'Italia propone una RAI controllata dai partiti attraverso il Parlamento invece che dal governo. Non è la stessa cosa?
Ecco perché rischiamo 7 milioni di multa. Non perché l'UE è cattiva, ma perché siamo dei poveri mentecatti.
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Centrodestra e centrosinistra hanno passato 15 mesi a litigarsi le poltrone invece di fare la riforma. Ora il Paese è "fuorilegge" secondo le norme UE che proteggono l'indipendenza dei media dalla politica. Ma ai partiti italiani non interessa l'indipendenza: interessa controllare la RAI per le loro propagande.
La proposta del governo Meloni è una farsa: sposta le nomine dal governo al Parlamento, ma con maggioranza semplice dal terzo scrutinio. Traduzione: stesso controllo politico, diversa etichetta. Le opposizioni denunciano "occupazione politica" ma anche loro vogliono la loro fetta di torta.
Simona Agnes, candidata del "partito-azienda", verrà probabilmente nominata presidente dopo aver boicottato la regola dei due terzi. Il solito gioco delle poltrone mentre i cittadini pagano le conseguenze delle loro beghe.
L'unico profilo professionale nel CDA rimane Roberto Sergio, ex direttore di Radio Rai, che almeno non viene dalla lottizzazione partitica. Ma è una goccia nell'oceano del carrozzone di raccomandati.
La "TeleMeloni Tax" è già scattata: oltre ai 90 euro di canone annuale, ora pagheremo anche le multe europee per l'incapacità dei partiti di rispettare le scadenze. Sette milioni per iniziare, poi 8.505 euro ogni giorno di ritardo.
Il baraccone RAI dimostra perfettamente cosa sia la partitocrazia italiana: un sistema che esiste per nutrire sé stesso, non per servire i cittadini. Mentre litigano per le poltrone, noi paghiamo il conto delle loro inefficienze.
La RAI dovrebbe essere un servizio pubblico, non il bancomat privato dei partiti per piazzare amici e clienti. Ma fino a quando esisterà questo sistema marcio, continueremo a finanziare le loro guerre di spartizione.
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