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Nel mirino in particolare la tensione con gli accordi internazionali, l’articolo 19 della Convenzione di Merida e l’articolo 31 di quella di Vienna sul diritto dei trattati, in relazione agli articoli 11 e 117 della Costituzione.
Più nel dettaglio, la convenzione di Merida, firmata nel 20023 e recepita nel nostro Paese nel 2009, ha attribuito agli Stati firmatari l’obbligo di attribuire natura penale a una pluralità di condotte legate alla corruzione.
A venire valorizzato dalla legge del 2009, la n. 116, all’articolo 7 quarto comma, è poi l’assunzione in ambito internazionale di un obbligo preciso: «ciascuno Stato si adopera, conformemente ai principali fondamentali del proprio diritto interno , al fine di adottare, mantenere e rafforzare i sistemi che favoriscono la trasparenza e prevengono i conflitti d’interesse».
In questo senso, appare in contrasto con i vincoli assunti la condotta di uno Stato che, pur avendo nel proprio ordinamento penale il reato di abuso d’ufficio, decide invece di cancellarlo. Dalla convenzione invece arriva un’apertura all’adozione di misure più stringenti di quelle già in vigore al momento dell’adesione da parte degli Stati; difficile invece sostenere che la cancellazione sia coerente con la conservazione di standard minimi di contrasto alla corruzione, come intesi dalla Convenzione.
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