Antropologia / Filosofia / Politica
Информация о канале обновлена 05.10.2025.
Antropologia / Filosofia / Politica
Ora, piazza Goldoni, Trieste.
Non so in che misura il tema sia seguito sugli "organi di informazione" mainstream, ma Israele e gli USA stanno palesemente preparando un nuovo attacco all'Iran.
Il massiccio spostamento di aerei da rifornimento americani in basi prossime al territorio iraniano, l'insediamento del 38% di tutti i sistemi antimissilistici americani (THAAD) a copertura del territorio israeliano, e l'ultimatum - fatto per essere inaccettabile - che l'amministrazione americana ha fatto al governo iraniano, esigendo non solo il blocco di ogni attività di arricchimento dell'uranio, ma anche l'eliminazione di tutti i missili iraniani a medio raggio (quelli capaci di colpire Israele), appare come il preludio della prosecuzione della "Guerra dei 12 giorni".
Questo fronte si (ri)apre, mentre il fronte venezuelano è appeso ad un filo, con la flotta americana alle coste del Venezuela, il bombardamento ciclico di barche che gli USA asseriscono essere di trafficanti, le richieste a Maduro di lasciare il potere.
Tutto ciò avviene mentre l'amministrazione americana è in "shutdown", con il blocco di tutte le attività statali non essenziali, e licenziamenti di massa all'orizzonte.
Come si è detto più volte, almeno in questa pagina, la crisi profonda dell'egemonia americana, il processo di dedollarizzazione e l'emergere di competitori capaci di sottarre agli USA la sua tradizionale rendita di posizione spingono gli USA ad esercitare senza remore l'unico potere su cui possiede ancora un netto vantaggio globale, ovvero la potenza militare.
Stiamo entrando nella fase più pericolosa, e probabilmente più sanguinosa, della crisi dell'Impero Americano.
Qui l'Europa deve decidere se seguire gli USA nel suo disperato e micidiale avventurismo - pensato alla fine per beneficiare soltanto l'egemone, o se ritagliarsi un ruolo terzo, in un quadro multipolare.
Per ora le classi dirigenti europee si sono schierate senz'altro nella scia americana, sperando che lo squalo alla guida gli lasci qualche pezzo di carcassa.
Quanto alle popolazioni europee - disabituate da tempo a pensare politicamente - la partita è ancora aperta, e lo è in particolare perché la linea del fronte passa da Gaza. Nella generale marmellata mentale che caratterizza popolazioni avvezze a ragionare per schematismi da tabloid, la tragica vicenda di Gaza è riuscita a fare breccia (faticosamente) nel muro della negazione mediatica e ora mette in crisi gli schemi di appartenenza introiettati. Sono entrate in crisi alcune delle precedenti certezze: quella di essere "dalla parte giusta della storia", dalla parte dei "diritti umani", del "diritto internazionale", della "libertà di stampa, di espressione e di pensiero", ecc.
Le linee di fronte sono chiare a chiunque abbia occhi per vedere.
Gli USA, Israele, nelle immediate retrovie il Regno Unito e la Germania, da un lato.
Dall'altro lato Cina, Russia, subito dietro Iran e Venezuela, e - come istanza di valore simbolico, sostenuta dai precedenti, - la Palestina.
Il primo gruppo in crisi di modello economico-industriale, cerca - con l'esercizio della propria rimanente superiorità militare - un margine di "estrazione di valore" che lo tenga a galla (che siano le risorse naturali russe o venezuelane o iraniane, che sia la riviera di Gaza, ecc.)
Il secondo gruppo, in espansione economica e tecnologica, e con grandi risorse naturali, non ha nessun interesse a fomentare uno scontro, e cerca di perseguire strategie di consolidamento della propria sicurezza regionale, inquadrandole nella prospettiva della cooperazione multipolare.
Questa è la vera partita in corso, questa è la partita in cui a breve saremo chiamati a decidere da che parte stare.
E ci sarà comunque un prezzo da pagare.
Due parole sulla vicenda della "Flotilla", con una considerazione politica generale.
Che nella Flotilla ci fossero (ci siano) personaggi in cerca di notorietà personale è sicuro (almeno uno si è palesato).
Che questo tipo di iniziative abbia un carattere eminentemente mediatico, con elementi di spettacolarizzazione, e che sia un passo indietro rispetto ad eventuali iniziative politiche, pressioni, sanzioni, ecc. è sicuro.
Che alcuni cerchino di strumentalizzare la vicenda per colpire i rispettivi governi in carica - quasi ovunque appiattiti su una posizione sionista - è decisamente plausibile.
Che a questa iniziativa partecipino molti soggetti che su altri temi sociali importanti hanno manifestato nel recente passato una consapevolezza politica carente o nulla è un fatto.
E tuttavia.
1) Tra fare qualcosa e non fare un cazzo c'è sempre un abisso. Dunque onore a chi, di fronte al male, si sbatte per fare qualcosa.
2) Nel caso specifico dei rapporti con Israele - stato canaglia notoriamente privo di qualunque scrupolo e dotato di mezzi finanziari e militari colossali - chiunque si profili come ostile alle politiche di Israele comunque mette in campo almeno un pochino di coraggio. E in un'epoca dove i capi di stato o della chiesa - gente con il culo straordinariamente al caldo - abbozzano, fischiettano, quando non supportano senz'altro un genocidio, anche a questo, piccolo o grande coraggio civico, va dato atto.
3) Per come è configurata oggi la politica in Occidente, i margini di intervento dall'esterno del potere istituzionale sono estremamente ridotti. Il potere istituzionale oggi è più solido ed impermeabile che mai, con sistemi di controllo, sorveglianza, condizionamento e repressione storicamente inediti. Dunque - per quanto entrare nel gorgo della "società dello spettacolo" sia sempre a grave rischio di manipolazione - passare per le strade dell'apparenza, della manifestazione, della rappresentanza ad uso dei media è in qualche modo una via obbligata (non la sola, ma non evitabile).
4) E infine. Molti pensano che aver colto sì la drammaticità della vicenda palestinese, ma essersi lasciati sfuggire gli ultimi vent'anni almeno di degrado politico-culturale in Occidente non parli a favore della vigilanza critica di MOLTI di coloro i quali oggi si sono attivati.
È vero.
Sulla vicenda palestinese si sono attivate parti critiche del cervello che in molti erano assopite da tempo. Questo perché si tratta di una vicenda antica, che copre più generazioni, e per la quale spesso il terreno interpretativo era già predisposto.
Ma - come si dice - tardi è comunque molto meglio che mai, e tra niente e qualcosa, meglio qualcosa.
Per quanto non scontato, forse questa vicenda segna l'inizio, l'alba, di una nuova presa di coscienza interna all'Occidente di cosa l'Occidente stesso sia divenuto: neocolonialismo doppiopesista, neoliberalismo spacciato per libertà, retorica dei diritti come travestimento per il loro abuso sistematico, monopolismo privato spacciato per libero mercato, esplosione della forbice sociale interna, bullismo internazionale, cancellazione del passato, svuotamento del futuro e sostituzione di ogni identità - personale e di gruppo - con etichette brandizzate.
L'odierna politica di Israele, in stretta connessione con gli USA, e con l'asservimento dell'Europa, mette sotto la lente di ingrandimento una configurazione del potere neoliberale occidentale che, forse, inizierà a presentarsi per quello che è, come una configurazione unitaria, non un accidente.
Forse, e dico forse, con ciò si aprirà nelle menti la strada alla rottura di quella contrapposizione paralizzante, oggi ampiamente fittizia e strumentale, tra destra e sinistra, che nel gioco delle parti copre la profonda involuzione del sistema.
Non è affatto detto, ma forse questo è uno di quei momenti storici in cui la coscienza collettiva assopita si risveglia.
Forse.
Diamogli una chance.
Segnalo per gli interessati
Venerdì 3 ottobre alle ore 18.00 presso il Caffè San Marco di Trieste - via Cesare Battisti 18 (sui cui tavolini, incidentalmente, ho scritto il mio primo libro trent'anni fa) la presentazione del libro "La Profana Inquisizione e il regno dell'anomia", con Martina Pastorelli e Adolfo Morganti - oltre al sottoscritto.
Rispetto ai danneggiamenti di ieri alla stazione centrale di Milano vedo aleggiare - come al solito - un certo stato confusionale.
Da un lato ci sono i governativi che ti spiegano che - vedi, in fondo tutti sti manifestanti sono semplicemente degli sciopera(n)ti violenti, degli straccioni perditempo che si sarebbero mobilitati per la qualunque pur di menare le mani. Questa è la "sinistra violenta" che vuole abbattere con mezzi antidemocratici la destra liberamente eletta.
Dall'altro lato ci sono i novelli Lenin che ti spiegano che non si può fare una frittata senza rompere le uova, che anche quando hanno preso la Bastiglia o il Palazzo d'Inverno hanno rotto vetrate, e che - anzi - il problema è che "siamo stati troppo buoni": bisognava spaccare tutto e poi vedevi come se la faceva addosso la Meloni.
Entrambi i gruppi hanno urgente bisogno di ridurre l'abuso di sostanze psicotrope e ritornare al mondo reale.
Ai primi si deve rispondere che ci sono state manifestazioni massicce in 80 città italiane, e solo in due casi ci sono stati tafferugli, per di più ampiamente minoritari. Dunque la realtà è che una manifestazione promossa da un sindacato estraneo alla trimurti confederale ha ottenuto un successo enorme e che - vista l'agenda esplicita della manifestazione - questo segnala una capacità di mobilitazione che NON appartiene "alla sinistra" e che NON si riduce a "fare un dispetto alla Meloni".
In una democrazia normale - cosa che non siamo da tempo - queste sarebbero istanze che dovrebbero essere raccolte, riposizionando l'Italia sulla questione israelo-palestinese.
Ai secondi si deve rispondere che qui nessuno ha la capacità di fare la rivoluzione, e che quella era e poteva essere solo una manifestazione, non un abbozzo di rivoluzione. E le manifestazioni servono come armi dialettiche nel dibattito pubblico: non hanno letteralmente nessuna altra funzione. Dunque perdere il controllo di una parte della manifestazione di Milano ha diminuito l'efficacia della manifestazione, rappresentando un danno per chi manifestava. Grazie al cielo non invalida la manifestazione perché i cretini che spaccavano vetri erano una minoranza, ma si tratta di un danno e non deve essere spacciato consolatoriamente per qualcos'altro. Pensare che se a spaccare vetrine fossero stati in più ci saremmo avvicinati d'un balzo al sol dell'avvenir è solo una penosa scemenza.
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